Nelle Città invisibili di Italo Calvino, Marco Polo descrive una serie di città fantastiche al grande imperatore Kublai Khan. Ogni città è una società che amplifica l'essenza di qualche domanda che l'uomo si pone, e a ciascuna domanda corrisponde una forma, brillantemente e sorprendentemente concepita, che completa e dà corpo a quella domanda. Marco Polo parla di desiderio e di memoria; di diversità e di routine; di ciò che è temporaneo e di ciò che deve ancora nascere; di immagini, di simboli e di mappe; di identità e di ambiguità, di riflessi, del visibile e dell'invisibile; dell'armonia e del disaccordo; di giustizia e di ingiustizia; di labirinti, di trappole e dell'eternità; di bellezza e di bruttezza; di metamorfosi, distruzione, rinascita, continuità, possibilità e cambiamento. Il dialogo esplora in una meravigliosa, aerea, fantasia le relazioni tra le persone e i luoghi di appartenenza. Alla fine egli afferma: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che già è qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo ne riesce facile a molti: accettare l'inferno, e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare, e dargli spazio.
Commento
Sembrava che il post su Calvino offrisse una sola interpretazione. Avendo scoperto che non è così, devo dare la mia spiegazione:
“In un mondo paragonabile, per certi versi, all’inferno, è una scelta lodevole non conformarsi ad esso supinamente e cercare d’individuare ciò che è giusto, buono e bello, salvaguardandolo, cioè dandogli spazio e cercando di farlo durare quanto più possibile. Un esempio? Questo stesso post su Calvino dà spazio ad un pregevole pensiero…e contribuisce a diffonderlo…a farlo durare nel tempo”.
1 commento:
ottima riflessione !
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